Non so per quale strano motivo mi viene da
ricordare Ivan Graziani in questo Ferragosto strano della mia vita.
Fino ai 14 anni non sapevo niente di lui se non per
aver ascoltato qualche eco di "Paolina", "Lugano addio" e "Agnese" nel
juke-box del bar dello Sport del mio paese.
L'incontro vero, quello che mi segnò, fu
invece televisivo. Lo vidi, in uno dei primi televisori a colori, con i
suoi occhiali rossi ad un Festivalbar, penso chefosse all'Arena di
Verona. Era seduto - chissà se il ricordo è reale
- su una sedia e, con una chitarra elettrica sulle gambe, cantava
"Firenze" che come sottotitolo aveva "Canzone triste".
Non avevo ancora compiuto 15 anni, era il 1980, e
fu una folgorazione. Non conoscevo ancora Elvis o le altre
possibilità di fare canzoni lente pur essendo
fondamentalmente rock. Mi stupì questa sua
capacità di entrare in mondi lirici, fortemente interiori,
pur nella auto-definizione di rockettaro di provincia.
Comprai il suo disco, allora si chiamavano Lp. Era
"Viaggi e intemperie", un album di straordinaria bellezza che,
trasferito in musicassetta, consumai in un viaggio di sei giorni in
pullmann con i miei 26 amici "Ragazzi Nuovi". Tutti vollero ascoltarlo
e tutti si innamorarono di lui in quel viaggio siciliano che facevamo
alla fine e con i proventi di una tournée musical-bandistica.
Seguii Ivan Graziani negli anni successivi. Comprai
"Seni e Coseni", "Canzoni senza inganni", "Parla tu" e continuai ad
averlo come punto di riferimento della mia vita. Intanto, finito il
liceo, mi iscrissi a ingegneria, senza alcuna convinzione e mi
trasferii a Roma.
Lo vidi per la prima volta in concerto a Vairano
Patenora. Nessuno volle accompagnarmi, nonostante le mie insistenze.
Così partii in autostop con il mio amico Benny che voleva
sentire Venditti (i due suonavano a Vairano uno dopo l'altro). Mi
emozionai molto e non mi resi conto delle difficoltà del
ritorno a casa. Fu un camionista a darci un passaggio e tornammo a casa
verso le tre del mattino.
Un altro concerto memorabile fu quello a Guardia
Vomano, in provincia di Teramo. Ci andai con i miei amici Pitoff e
Slurp (forse c'era anche Antonio Valente). Incontrammo delle ragazze a
Pescara e poi andammo a sentire Ivan.
Qualche mese dopo, con Cico e Roberto, andai al
teatro tenda di Roccavivara per un concerto che registrammo con
un'attrezzatura di fortuna. La registrazione venne benissimo e penso
che Cico la conservi ancora.
Poi partii per Roma. All'università,
nelle aule di ingegneria, mi presentai con i miei occhiali rossi alla
Ivan Graziani(erano occhiali da vista con lenti graduate montate sulla
montatura colorata) e non passavo certo inosservato.
Fu forse nell'estate successiva al mio primo anno
da universitario che conobbi di persona Ivan Graziani. Avvenne a
Fornelli. Suonava nella parte bassa del paese, nello spazio del
distributore di carburanti che ancora c'è. Arrivai nel
pomeriggio con i miei amici per assistere alle prove dei suoni e per
vedere che tipo di strumentazione utilizzasse. Bevemmo molte lattine di
birra e verso le otto di sera i miei amici si allontanarono da me per
rifocillarsi in un bar e presso uno stand gastronomico. Mi accasciai
stanco e un po' brillo accanto a una delle pompe del distributore e
lì mi godevo l'attesa del concerto.
Una donna si avvicinò e mi chiese il
perché del mio indossare occhiali tanto vistosi. Ero
lì lì per rispondere male quando la signora mi
disse "Non arrabbiarti, te lo chiedo perché anche mio marito
porta occhiali come i tuoi, dello stesso colore!"
Capii che era la moglie di Ivan e mi feci guidare,
lei mi chiese di seguirla. Entrai in una stanza, nella casa che
dà sul distributore. Ivan cenava lì, era a
capotavola, con accanto quelli che avevo già imparato a
conoscere come i suoi inseparabili musicisti (Beppe al basso e
Pasqualino alla batteria). Mi vide sulla porta e mi fermò
con lo sguardo. Ci osservammo da lontano, con i nostri occhiali rossi
sul naso. "Siediti e parlami di te - mi disse - io devo cantare, posso
solo ascoltarti". Mentre loro cenavano, io raccontai della mia vita.
Aiutato dall'alcol che avevo ingurgitato per tutto il pomeriggio con i
miei amici, raccontati dei miei amori burrascosi e del desiderio di
abbandonare la facoltà di ingegneria.
Ivan mi ascoltò e mi disse che avrebbe
voluto vedermi con calma. Mi lasciò il suo numero di
telefono (quella della sua casa di Novafeltria, a quei tempi non
c'erano ancora i telefonini) e mi invitò a chiamarlo per poi
incontrarci. Ci abbracciammo e lui si diresse verso il palco. Io tornai
tra i miei amici ma non dissi nulla perché non volevo essere
preso per un mitomane e perché pensavo che nessuno mi
avrebbe creduto.
Durante il concerto, continuai ad emozionarmi per
le canzoni che conoscevo a memoria e per l'incontro che avevo avuto
mezz'ora prima. Ma quando Ivan presentò "Doctor Jackill
& Mister Hide" ci fu l'apoteosi. "C'è chi di giorno
fa l'impiegata e di notte la prostituta - disse Ivan al microfono -,
c'è chi giorno fa il medico della mutua e di notte fa il
mostro di Firenze, c'è chi di giorno studia ingegneria e di
notte scrive poesie. Dedico questa canzone al mio amico Giovanni che
è qui sotto il palco". Quando i miei amici sentirono quelle
parole, si volsero tutti verso di me. L'alcol faceva il suo
effetto-down e io non avevo la forza di reagire. Mi presero e mi
buttarono sul palco. Io caddi a terra, disteso ai piedi di Ivan che mi
schitarrava addosso le prime note di "Doctor Jackill & Mister
Hide". Il pubblico pensava che fosse tutto preparato: Ivan con gli
occhiali rossi che schitarrava, io con gli occhiali rossi supino sulle
tavole del palco... Lì rimasi finché qualcuno mi
prese e mi buttò di sotto.
Alla fine del concerto, raccontai tutto ai miei
amici e tenni ben stretto il biglietto con il numero telefonico
0541-921***.
Qualche giorno dopo lo chiamai e
cominciò così un'amicizia bellissima. Quando lui
non era in casa, Anna (sua moglie) mi aggiornava su spostamenti e
impegni. Io, intanto, mi trasferivo a Siena, mi iscrivevo a Lettere e
vincevo una borsa di studio per frequentare la scuola di Mogol.
Ci siamo rivisti molte volte (a Teramo, ero con
Lino Rufo), a Empoli (ero con Carlo Fantini e Ivan suonava alla festa
dell'Unità. Cenammo con lui), in provincia di Avellino, a
Isernia.
A Novafeltria andai a trovarlo con Claudia.
Passammo con lui un pomeriggio intero e la chiacchierata divenne
un'intervista dal titolo "Il rock è nato in Abruzzo",
pubblicata da Sabino d'Acunto su "Meridiano 2".
Non mi va di parlare degli ultimi anni, quelli
della malattia e della scarsa frequentazione. Dico solo che ricordo
ancora a memoria tutte le sue canzoni, che mi emoziono ancora quando
sento "Firenze" o "Dada" o "Paolina". Che ricordo tutto dei tanti suoi
concerti che ho visto, le cose che diceva prima di "E sei
così bella" sulle donne che "credono di tenerla tagliata di
così (orizzontale, ndr) invece che così
(verticale, ndr)", persino i suoi passaggi radiofonici e televisivi e
quelli sanremesi con "Franca ti amo" ("Sanremo è come il
servizio militare - diceva- almeno una volta bisogna farlo") e la
splendida "Maledette malelingue" che ho cantato per un'estate intera
aprendo i concerti di Flavia Fortunato.
Ricordo le sue scarpe, la sua voce, il suo modo di
camminare. Era un mito diventato amico, un amico che rimaneva mito e
che ancora oggi presenzia alle mie giornate, alla mia voglia di vita e
alle mie malinconie.
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