Fra le 555 sonate attribuite con certezza a
Domenico Scarlatti alcune, nei manoscritti che le hanno tramandate,
presentano bassi cifrati: sono sonate per strumento solista (violino o
mandolino) ed accompagnamento. L’idea di realizzarne una lettura a due
cembali in cui i due strumenti, oltre ad eseguire tutto ciò che l’autore
scrive, concertano improvvisando diminuzioni e fioriture ed «armonizzano»
realizzando il basso continuo secondo la prassi esecutiva del tempo, nasce
da varie suggestioni, prima fra tutte quella della pratica della
trascrizione, l’uso di adattare una composizione ad uno o più strumenti
differenti da quelli per i quali essa era stata originariamente concepita.
La trascrizione di musica vocale o di danza per strumenti a tastiera ha
origine nel ‘300 e segna la nascita del repertorio clavicembalistico; nel
1700 ha finalità divulgative, pratiche e commerciali, soddisfa esigenze
scolastico-didattiche e ricreative. Professionisti, scolari, amatori e
dilettanti la praticavano in tutti i paesi europei. In Francia D’Anglebert
trascrisse opere di Lully e Rameau trascrisse se stesso; François Couperin
nel 1725, nella prefazione al Concert instrumental sous le titre d’Apothéose
composé à la memoire immortelle de l’incomparable Monsieur de Lully, dice:
«Questo Trio […] si può eseguire a due clavicembali […]. Io lo eseguo
nella mia famiglia e con i miei allievi, con una riuscita molto felice;
vale a dire noi suoniamo la parte superiore e quella di basso su uno dei
clavicembali; la parte intermedia, con lo stesso basso, sull’altro
strumento all’unisono. Due spinette all’unisono (con effetto molto
migliore se vicine l’una all’altra) possono servire allo stesso scopo».
Charles Babell trascrive Lully e trasferisce questa pratica in
Inghilterra. Di Haendel sono numerosissime le trascrizioni proprie di arie
per ogni tipo di strumento. In Germania, Walther trascrisse per organo
diversi concerti di Albinoni e Torelli e lo stesso fece Bach che, nelle
sue trascrizioni per clavicembalo e organo dei concerti di Vivaldi, dà un
saggio della sua genialità di compositore arricchendo
contrappuntisticamente il modello vivaldiano ed aggiungendo
ornamentazioni. Alcune sonate di Domenico Scarlatti furono trascritte per
orchestra d’archi e basso continuo (Charles Avison, Concerti in sette
parti, Londra, 1744). E’ significativo che fra gli arrangiamenti di Avison
compaiano anche brani tratti dalle sonate K 81, 88, 89, 90, oggi in
programma.
Il fatto che nel 1700 fosse in uso la
pratica di eseguire con uno o, meglio, due cembali le sonate per strumento
solista e basso continuo e i quartetti per archi, sembra legittimare
un’esecuzione a due cembali delle sonate di Scarlatti. Tale pratica è
documentata da una chiara indicazione data nel frontespizio dei XII Solos
di Francesco Mancini («Which Solos are Proper Lessons for the Harpsichord»),
dai Divertimenti da camera per violino o flauto di Giovanni Bononcini,
tradotti per il cembalo nel 1722 e dai Sei Quartetti di Luigi Boccherini
trascritti per due clavicembali.
L’intuizione di Ralph Kirkpatrick, noto
studioso scarlattiano, che individua nel basso continuo la matrice
stilistica dell’arte per tastiera di Scarlatti, ci illumina riguardo alla
maniera di realizzare le sonate per due cembali, vale a dire nello stile
elegante, maestoso e di straordinaria ricchezza armonica che affonda le
sue radici nell’opera di Arcangelo Corelli, di Bernardo Pasquini (Sonate
per due bassi continui) e del padre di Domenico, Alessandro, esposto ne
L’armonico pratico al cimbalo di Francesco Gasparini (maestro a Venezia
del giovane Scarlatti).
Altri spunti di riflessione e suggerimenti
sono venuti dallo studio dei Seis Conciertos para dos organos del Padre
Antonio Soler, uno dei più illustri allievi di Scarlatti, che hanno fatto
pensare ad esecuzioni private di “scherzi ingegnosi dell’arte” tra maestro
e discepolo, derivati dall’abilità di improvvisare che certo era coltivata
alla scuola di Domenico.
Nella realizzazione, accanto agli
accompagnamenti richiesti dalla numerica del basso continuo, trovano vita
elementi originali tratti da disegni caratteristici presenti nel corpus
delle sonate: arpeggi, scale, imitazioni, movimenti contrappuntistici, ma
anche ritmi contrastanti ed effetti percussivi. Il primo cembalo spesso
raddoppia con la mano sinistra il basso, per conferire maestosità
all’esecuzione. Nella fuga della sonata K 88 il primo cembalo esegue le
parti di soprano e basso ed il secondo quelle di contralto e tenore e,
calandosi con la fantasia in un’esecuzione alla corte di Spagna di alcune
di queste sonate giovanili, negli allegri finali delle Sonate K 89 e K 90
sono stati utilizzati passaggi scritti ad imitazione della chitarra
spagnola, strumento di cui Scarlatti sentì intensamente il fascino.
L’influenza della musica popolare spagnola,
che permea il mondo sonoro scarlattiano, viene messa in evidenza dagli
interventi della danzatrice che alterna momenti di danza barocca in stile
spagnolo a momenti di danza popolare: una forma embrionale di flamenco. Il
celebre ballo nasce infatti proprio nel 1700 per poi evolversi ed assumere
i connotati caratteristici del flamenco moderno a tutt’oggi considerato il
ballo simbolo della Spagna. L’inserimento della danza nel concerto è un
lavoro di invenzione suggerito dalle sonorità della musica stessa e dalle
parole di Kirkpatrick «non è affatto difficile immaginare Domenico
Scarlatti a passeggio sotto i colonnati moreschi dell’Alcazar o intento a
prestare orecchio, di sera, nelle strade di Siviglia ai ritmi inebrianti
delle castagnette o alle melodie semiorientali del canto andaluso» e «non
c’è nessun aspetto della vita, della danza e della musica popolare
spagnola, che non abbia trovato collocazione nel microcosmo che Scarlatti
creò nelle sue Sonate. Egli ha captato lo schiocco delle castagnette, lo
strimpellio delle chitarre, il rumore sordo dei tamburi smorzati, il
gemito roco e amaro del lamento zingaresco, la gaiezza prorompente della
banda del villaggio, e soprattutto le rigide tensioni della danza
spagnola».
Silvia Rambaldi