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Amaranta e il grigio delle perle

 

Amaranta sistemava ogni giorno la macchina nel parcheggio del centro commerciale. Le sue manovre erano ormai automatiche, sicure. Sistemava la sua Punto gialla accanto al pilastro con la scritta «Più erba e meno cemento» ed entrava, dal retro, nel negozio.

Lavorava in quel centro commerciale da più di due anni. Due anni non erano pochi per una ragazza che di anni, in totale, ne aveva venti. Erano il dieci per cento della sua vita. E lei aveva trascorso il dieci per cento della sua vita in quel piccolo negozio di quel grande centro commerciale. E nei due anni vissuti in quel centro commerciale, Amaranta non era riuscita ad abituarsi alle luci. Secondo lei erano posizionate male. Erano così tante le luci installate e l’energia elettrica utilizzata che non era possibile sentirsi così tristi: Amaranta pensava così ogni volta che riusciva ad affacciarsi dalla porta del suo negozio o quando usciva per una piccola pausa, per un caffè. Luci dappertutto, musica di sottofondo ma tristezza, nient’altro che tristezza. Il risultato era un’atmosfera blanda, di scarsa effervescenza, che rendeva tutto opaco. Persino le perle delle vetrina accanto a quella del suo negozio non riuscivano a dare altro colore che il grigio. E lei glielo diceva a Marzia, la sua collega della gioielleria accanto: «Qui dentro si muore di tristezza. Persino le tue perle diventano grigie». Doveva esserci qualche errore dell’architetto, pensava tra sé e sé. Deve aver sbagliato qualcosa nel progettare l’illuminazione della galleria del centro commerciale.

Dopo aver parcheggiato l’auto, ogni volta che passava accanto al pilastro con la scritta «Più erba e meno cemento» Amaranta ripensava a Mirko. Era proprio accanto a quel pilastro che Mirko l’aveva baciata per la prima volta. E da quel giorno, ogni volta che passava di lì, mentre faceva scivolare le chiavi della macchina nella borsa, Amaranta ripensava a quelle labbra desiderate, al profumo di Mirko, alle braccia che l’avevano tenuta stretta per un attimo che non si era più ripetuto.

Mirko non era di Campobasso. Era il rappresentante di un’azienda toscana che operava nel settore dell’abbigliamento. Il negozio in cui lavorava Amaranta era il punto più a sud della catena di franchising che il papà di Mirko aveva creato e consolidato con anni di lavoro e di rischi calcolati.

Ogni volta che Mirko entrava in negozio, per Amaranta era una festa senza eguali. Sapeva quando doveva arrivare e si preparava all’evento. Le piaceva tutto di lui: il modo di parlare e di vestirsi, l’ironia semplice e pungente, il sorriso da ragazzone viziato, da figlio di papà. Lei diceva pochissime cose, lo faceva parlare, lo ascoltava e lo guardava. Lo adorava. Lo respirava. Mirko la guardava negli occhi e i suoi occhi scintillavano anche quando le faceva l’elenco dei nuovi capi di abbigliamento che dovevano arrivare o le diceva come sistemare gli articoli in vetrina o quali colori mettere in evidenza per la stagione che doveva arrivare e tutte quelle cose che dicono quelli che devono far finta di saperne di più di chi sta lì ad ascoltarli.

Amaranta registrava tutto. Memorizzava con attenzione divisa. Un po’ il lavoro e un po’ il piacere. Sistemava nella sua mente tutte le informazioni che riguardavano i nuovi arrivi. Metteva nel cuore tutti i dati relativi ai movimenti della bocca di Mirko. Non ne perdeva uno e li conservava fino alla nuova visita; lì teneva lì per due o tre mesi e poi li rinnovava con accresciuta attenzione. Tra una visita di Mirko e quella successiva passavano settimane di pensieri e pensieri. A volte sognava di sposare Mirko e di trasferirsi in Toscana con lui. Sognava di conoscere finalmente il papà di quel ragazzone senza timidezza, di dare finalmente un corpo a quella voce che aveva sentito qualche volta per telefono e che somigliava tanto a quella del figlio. Sperava che Mirko si innamorasse di lei e che la portasse via da Campobasso. Pur essendo nata in Molise, non si era mai sentita molisana e non aveva mai capito cosa volesse dire esserlo. Non parlava in dialetto, non aveva mai imparato a cucinare pasta e fagioli, odiava tutto ciò che era tipico. Amava il Mc Donald’s e i film visti al Multisala, dove tutto era anonimo e tutto era distante dalle montagne e dal mare di quella regione che l’aveva nauseata per il suo non essere niente.

Il giorno del bacio era stato tutto magnifico, come nei film. Lei si era preparata all’arrivo di Mirko passando dalla parrucchiera, il giorno prima, e chiedendo un taglio cortissimo e contemporaneo. Lui aveva avuto più tempo del solito e l’aveva portata a pranzo. Lei aveva parlato con intelligenza e senza imbarazzo. Lui si era mostrato capace di ascoltare oltre che di chiacchierare ad oltranza. Lei lo aveva osservato mangiare con sicura eleganza e aveva capito che voleva un uomo così nella sua vita. Lui aveva capito che Amaranta era una ragazza molto sensibile e simpatica. E che quel taglio di capelli la faceva ancora più bella.

Quando l’aveva riaccompagnata al centro commerciale, Mirko era sceso dalla macchina per salutarla e ripartire per la Toscana. Niente faceva immaginare che di lì a poco l’avrebbe baciata. Mirko non aveva preso in considerazione tale eventualità e Amaranta si aspettava al massimo qualche battuta forte per coprire l’imbarazzo solito di una cerimonia di saluto del genere. Invece accanto a quel pilastro di cemento, proprio sotto alla scritta «Più erba e meno cemento», le labbra di Mirko si accostarono a quelle di lei e si baciarono per bene, lungamente, con gusto e desiderio. E, poi, tutto riprese come se il bacio non ci fosse stato:

-          Ciao, fa’ buon viaggio

-          Ti chiamo…

-          Fammi sapere cosa devo fare con quei capi in resa…

-          Sì, ne parlo a mio padre…

-          Non correre…

-          Ti mando un sms quando arrivo.

Il messaggio non arrivò. Nei giorni che seguirono, Amaranta pensò più volte di chiamarlo ma non lo fece. Si sentì come paralizzata, incapace persino di mandargli un sms. Mirko, invece, aveva dimenticato Campobasso e continuava a girare gli altri negozi della catena. Mantova, Vicenza, Piacenza, Modena…

Suo padre pensava di chiudere il punto vendita di Campobasso prima o poi. A sud non riuscivano a sfondare e non si poteva lavorare in perdita in un momento di crisi mondiale come quello.

Amaranta continuava ad avere problemi con le luci del centro commerciale e, in un giorno di noia autunnale, si sfogò con Marzia:

-          Che schifo di luci. Chissà come sarebbero belle le perle della tua vetrina con una luce adeguata!

-          Ma guarda che sono belle anche così…

-          Ma no, sono grigie, non vedi?

Mentre le due ragazze chiacchieravano, dalla porta automatica più lontana entrò Mirko, con un sorriso grosso come una mela gialla del Trentino. Amaranta lo vide e cominciò a salutare e saltellare. Dalla vetrina le perle luccicarono forte, bianche come le scogliere di Dover, come la purezza di un amore giovane.

 



Il racconto è stato pubblicato in in “Miagazine”, Exit Comunicazione, Campobasso, 2009




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