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STRALCI DA UNA LETTERA
RICEVUTA
Un ipotetico Dante molisano non
avrebbe protestato per il sale nell’altrui pane. Qui da me il pane è salato di
suo e i giornali, fino a poco tempo fa, arrivavano con il treno delle nove. Ho
sorpreso questo pensiero nella mia testa rientrando a casa con le borse della
spesa. Ho anche comprato le sigarette e, soddisfatto di ciò, mi preparo ad un
giorno decente.
La mattina del paese, in u giorno di
sole, ha un sapore bellissimo, da fumarci sopra. Le finestre sorridono e, se suonano
alla porta, si apre volentieri anche ai testimoni di Geova.
Io vivo da solo, forse perché non ho
molto da dire. Chiacchiero con me stesso di cose stupide e con gli oggetti. A
volte piango, altre rido, senza motivo, perché mi commuovo, perché mi emoziono
per un pensiero, un ricordo, una notizia della radio, una canzone.
E mi piace uscire, alla mattina,
senza guanti, per dare le mie mani al sole.
Sono passato dal tabaccaio per
comprare francobolli e carta da lettera nuova. Non ho una bella scrittura ma
riesco a farmi capire. Mi piacerebbe non scrivere poesie ma dalle malattie
gravi non si guarisce con un atto di volontà.
Non ho mai viaggiato per paura delle
gallerie e, poi, non ne ho avuto necessità né occasione. Gli amici raccontano
che in città si fanno incontri eccezionali, che è bello assistere ad un
concerto di Battiato in teatro e che lo smog macchia le camicie. Tutto ciò mi
incuriosisce e mi piace ascoltare quando qualcuno viene a trovarmi. Sono molto
gentili i miei amici, mi vogliono bene. Si scusano per non aver risposto alle
mie lettere e mi regalano dolci senesi e musicassette. Si lamentano del mio
vivere senza telefono perché magari, ogni tanto, una telefonata…
La luminosità di queste prime
giornate di Primavera mi rincuora. Il paese sta uscendo da un inverno cupo, di
pomeriggi trascorsi nel bar a discutere di calcio e di politica. Finalmente la
gente si staccherà dai televisori, il barista tirerà fuori tavolini e
ombrelloni da sole colorati, i pensionati torneranno a chiacchierare seduti sui
muretti del giardino comunale.
Ho un nuovo vicino di casa, da
conoscere meglio: il signor Guerini. Non fa altro che salutarmi ed io non faccio
altro che rispondere al suo saluto. Con i suoi «buongiorno» e «buonasera»
scandisce il mio tempo, dirige la mia vita come fosse il Muti delle mie ore.
Non ha capito la benevola ironia del mio regalo: una clessidra. Ha ricambiato
con un vassoio di paste fatte in casa da sua moglie. Ho riso al cioccolato per
due giorni e ho sorriso alla sua buona educazione.
C’è molto verde intono a me: i
divani del salotto, la trapunta, il mio borsone da viaggio ed il biglietto da
visita di un vecchio baleniere che tengo sul comodino per un eventuale attacco
di nostalgia. E poi l’erba: ho sempre avuto un debole per l’erba. Dalle
Balducci e le Kickers alle Timberland e Superga, i miei piedi hanno sempre
goduto di quel soffice camminamento che nessuna moquette può eguagliare. Insomma, sembra di essere in Irlanda ed
invece siamo in Molise.
Qualche sera fa, sfilando i
pantaloni, attento a non far cadere gli spiccioli dalle tasche, ho pensato che
l’unica cosa certa della mia vita sono le radici. Sono nato in questa terra
incolore, insapore, inodore come l’acqua. Da qui non sono mai partito né con
amarezza, né con rancore, né con propositi di rivincita o di vendetta: niente
si dimostra al nulla.
Tutto questo per dirti che non
soffro la solitudine, che sono sereno e calmo come una melodia di semibrevi e
che qualche volta ti penso
con
tanto affetto
X X X
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Il racconto è stato pubblicato in "Erba d'Arno", Firenze, 1992 e in
«Millennio a venire», raccolta di poesie con prefazione di Alessandro Fo,
Edizioni Eva, Venafro, 1999
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