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Nel 2004,
Rosita Pecorelli rilasciò una intervista a Giovanni Petta.
Fu pubblicata sul mensile «@ltromolise».
La riportiamo integralmente di seguito. MINO PECORELLI E IL DESIDERIO DI TORNARE A SESSANO Intervista con Rosita Pecorelli di Giovanni Petta «Due
anni prima della sua morte, io e Mino andammo al cimitero di Sessano
per una
visita alla cappella di famiglia. Era una giornata bellissima e sulle
montagne,
verso Campitello, c’era la neve. L’aria era tersa
e, in sottofondo ai nostri
discorsi, c’era il canto degli uccelli. Mino mi disse:
“Mi piacerebbe morire in
una giornata così”. Ed è andata proprio
in questo modo. Quando l’abbiamo
riportato a Sessano, per la sepoltura, era una giornata bella come
quella in
cui mia aveva messa al corrente di quel suo desiderio». Rosita
Pecorelli prova grande emozione nel raccontare di suo fratello,
nonostante
siano passati tanti anni da quel 20 marzo 1979, dal giorno della morte
di Mino.
Anni in cui Rosita ha ripercorso spesso la vita del fratello, obbligata
dalle
vicende processuali, per semplice capriccio della memoria o per
volontà di
rivivere i momenti belli vissuti con lui. «Quando
nostro padre morì, io e Mino eravamo piccoli. Siamo
cresciuti insieme,
rafforzando continuamente il nostro legame affettivo. Ecco
perché, ancora oggi,
non riesco a non emozionarmi quando ne parlo». Il
30 ottobre 2003 la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la
sentenza
di condanna a 24 anni del senatore a vita Giulio Andreotti e di Gaetano
Badalamenti, ribaltando le tesi dei giudici d'appello di Perugia e
accogliendo
la richiesta del procuratore generale per un'assoluzione definitiva.
«Quando
sono stata a Perugia – ho seguito il processo per tre ani e
mezzo – ho parlato
più volte con il senatore Andreotti, anche
cordialmente». Di
quelle chiacchierate con Andreotti, la sorella del giornalista ucciso
ricorda
alcuni brani. «Il senatore a vita mi disse: “Sa, io
non ho mai conosciuto suo
fratello personalmente però lo ritenevo un uomo molto
intelligente, di estrema
intelligenza”. Io dissi: “Strano che non
l’abbia conosciuto. Lei non c’era al
convegno della Democrazia Cristiana con Moro e mio fratello?”
E lui: “Dove?” “A
Palermo” risposi. E lui: “No, no a Palermo non
c’ero”. Insomma, dava un
giudizio positivo di Mino». Rosita
parla di suo fratello con orgoglio, sottolineando la lealtà
dell’uomo e la
professionalità del giornalista. Un giornalista rivalutato
dal lungo percorso
giudiziario, dai documenti portati in udienza, dalle testimonianze.
«Sì – dice
Rosita – pienamente riabilitato come uomo e come
professionista. Durante tutto
il processo e, soprattutto, nella ricostruzione fatta dal pubblico
ministero
Cardella, nella sua requisitoria. Il discorso del P.M. è
stato un inno a Mino Pecorelli.
Ha più volte detto che l’Italia dovrebbe cercare
di avere più giornalisti come
lui. Nel corso del processo, poi, sono stati tanti i personaggi
importanti che
hanno testimoniato e mai nessuno ha detto cose negative su Mino.
È emerso che
era un personaggio importante della vita politica e sociale della
nostra
Repubblica perché era dentro le cose più segrete
e spesso più terribili
dell’epoca. Era un giornalista che conosceva i fatti di cui
parlava. Forse
perché favorito dai servizi segreti o perché
molte persone si servivano del suo Op,
in quanto era uno dei pochi
giornali che poteva pubblicare notizie esclusive delle quali Mino, in
prima
persona, si assumeva la responsabilità. Insomma, non so
perché ma Mino era
dentro i fatti politici della vita italiana in maniera importante,
unica. La
figura di Mino è venuta fuori dal processo finalmente
ripulita dalle ombre e,
anzi, in rilievo perché è venuta fuori la sua
capacità di conoscere a fondo la
vita politica ed economica della società italiana di quegli
anni». Persino
l’adesione alla loggia P2 è stata ripulita dai
sospetti di interessi personali
o da fascinazioni esoteriche e politiche. «Sì
– dice ancora Rosita – perché
Mino era dentro la Massoneria ma la attaccava dal suo giornale.
Attaccava i
massoni dall’interno. Considerava la Massoneria un luogo in
cui cercare le notizie». La
verità processuale su Mino è gratificante per chi
ha combattuto tanti anni per questo
scopo. Dà un po’ di sollievo, rende meno amaro il
ricordo di quel giorno
maledetto: il 20 marzo 1979, quando Mino Pecorelli fu ucciso
all’uscita della
redazione di Op. Rosita
racconta quelle ore: «Il giorno in cui Mino fu ucciso era il
compleanno di mia
figlia. Mi telefonò in ufficio. Fece battute spiritose, al
telefono, al mio
collega che aveva risposto. Poi mi chiese di incontrarci. Ma prima del
nostro
incontro ci fu la storia del plico, quella storia ormai famosa. Un
nostro
cugino portava il materiale da pubblicare, la versione finale
dell’Osservatore Politico
in tipografia per
la pubblicazione. Lo faceva sempre, ad ogni nuovo numero. Mino, quel
giorno,
gli chiese di andare in taxi e non con la sua macchina. “Qui
c’è roba che
scotta – disse – è meglio che tu vada
con un'altra auto”. Mio cugino chiese
l’argomento dei materiali scottanti e Mino mimò
Andreotti, curvando la schiena.
Quando arrivò in tipografia, mio cugino non trovò
la solita persona che
riceveva abitualmente il materiale di Op.
Trovò sulla porta un uomo mai visto prima che si fece
consegnare tutto. Quel
plico non è mai arrivato in tipografia e non è
stato più trovato». Poi,
Rosita torna sugli ultimi momenti passati in compagnia del fratello.
«Il 20
marzo, dopo pranzo, io e mia figlia, che allora era una bambina,
salimmo da
lui, nel suo studio. Passammo a trovarlo, proprio perché ce
l’aveva chiesto con
insistenza. Mino prese la piccola sulle gambe e cominciò a
fare dei discorsi
che solo dopo la sua morte hanno avuto per me un significato di
premonizione.
Prese una scatoletta in cui c’erano delle caramelle e una
bottiglietta di
profumo e disse alla bambina: “Se ti regalo questo profumo
quando lo sentirai
penserai a zio Mino. Se ti do le caramelle quando le mangerai penserai
a zio
Mino”. Poi parlò con me: mi disse che si sentiva
più tranquillo in quel periodo
perché stava arrivando la pubblicità e la stampa
del giornale a minor costo. Quindi,
più denaro per il suo giornale. La stampa e la
pubblicità doveva arrivargli dal
gruppo di Andreotti tramite Ciarrapico ed Evangelisti. “Se
questa cosa va in
porto, tra un paio di anni aggiusto le cose del giornale, lo riporto su
economicamente e mi ritiro a Sessano”. Io sorrisi
perché non ci credevo. Un
tipo come lui a Sessano! Non avrebbe resistito lontano dal lavoro.
“Io ho
bisogno di pace e di tranquillità” – mi
rispose. Poi sentì il bisogno di
chiamare mamma. “Perché non prendi un taxi e vieni
da noi? – le disse - Siamo
qui, io e Rosita”. Andammo al bar
insieme e aspettammo l’arrivo di nostra madre che ci vide
abbracciati e
sorrise: “Che belli questi figli” disse. Poi
notò e sottolineò l’abito di Mino:
“Come sei elegante oggi”. Lui
chiacchierò un po’ con noi, poi ci diede un bacio
per salutarci. Disse che aspettava una persona e tornò in
studio. In serata
arrivò la telefonata che annunciava la sua morte». Da
quel momento le indagini, le vicende processuali e ora, dopo la
sentenza della
Cassazione, la voglia di non arrendersi, di lottare ancora per la
verità. Si
ricomincia tutto da capo. «In una trasmissione di Sky – dice Rosita Pecorelli
– il giornalista Iannuzzi ha insistito
affinché io guardassi verso altre direzioni nella ricerca
dell’assassino di
Mino. Si riferiva alla pista della Guardia di Finanza. Ma noi le
abbiamo
provate tutte. C’era persino la pista di Cutolo. E poi altre
ancora. Quello che
è certo è che non ci fermeremo qui». Lo dice con piglio deciso, con la sicurezza di chi sa di avere forza da spendere, energia da impiegare. Rosita è certa delle cose che dice, come quando parla del Molise. «Quella è una terra che non abbandoneremo mai. Mio fratello l’amava. Io e mia figlia ci torniamo spesso. Quando arrivo, all’uscita della galleria di Pesche, mi emoziono ogni volta nel riconoscere le case di Sessano».
LIBRI
SU MINO PECORELLI
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IL
MOTTO SCELTO PER O.P. |
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MINO PECORELLI
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LA
VICENDA GIUDIZIARIA
Il
15 novembre del 1991 il giudice istruttore Monastero proscioglie tutti
gli
indagati per non avere commesso il fatto Il
6 aprile 1993 Buscetta accusa Andreotti Il
29 luglio il Senato concede l'autorizzazione a procedere per l'ex
presidente
del Consiglio Nell'
agosto '93 le dichiarazioni dei pentiti della banda della Magliana, in
particolare quelle di Carnevale, Il
17 dicembre 1993 l'inchiesta arriva alla procura di Perugia. Vitalone
viene
ufficialmente iscritto nel registro delle notizie di reato Il
20 luglio 1995 l'allora procuratore capo Restivo ed i sostituti
Cardella e Carnevale
depositano la richiesta di rinvio a giudizio, con l'accusa di omicidio,
per
Andreotti, Vitalone, Badalamenti, Calò, La Barbera e
Carminati. Quest'ultimo
chiede ed ottiene di essere processato con il rito immediato Il
17 novembre 2002 la sentenza d'appello di condanna per il senatore a
vita
Giulio Andreotti |
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