Ogni
abitante della provincia di Isernia dovrebbe visitare la mostra di
Vincenzo Ucciferri. Anche solo per il tentativo di europizzare gli
sforzi culturali di questo territorio; uno sforzo compiuto, in maniera
continuata e tenace, da questo artista fermo e coerente, pieno di una
poeticità inossidabile.
Una
mostra dovuta, dunque. "Se c'è qualcuno in questo lembo di
provincia - scrive, infatti, Giambattista Faralli - che ha scommesso
tutta la sua esistenza sulla propria vocazione di artista, infrangendo
schemi e luoghi comuni, camminando col suo laborioso bastone su
percorsi difficili, rifiutando la normalità, la regola
comune, il facile adattamento, l'integrazione, costui è
stato Vincenzo Ucciferri".
"Il
teatro della memoria" - è questo il titolo della mostra
aperta fino al 18 maggio prossimo - riempie i locali del Museo di Arte
Contemporanea di una densità umana e artistica
incommensurabile. I vari periodi della pittura di Ucciferri sono
rappresentati tutti e tutti toccano ed emozionano profondamente.
Dall'oscurità magmatica e ancestrale di qualche decennio fa
al bianco purificante dell'ultimo periodo. Dallo stile figurativo
attento alle sofferenze dell'uomo all'astratto dissonante e
sconcertante che fa degli oggetti simboli inquietanti, strumenti
comunicanti. Dagli orizzonti lontani che tentano un difficile contatto
con l'oro delle nuvole ai codici a barre che segnano e organizzano, che
misurano e condizionano la contemporaneità dell'uomo.
Poi i
colori forti di un momento che sembra ammiccare alla pop-art ma che
invece, secondo noi, è attenzione non ironica e non soltanto
grafica agli oggetti del quotidiano. Ucciferri ha sempre considerato
mani e forbici, teste e montagne, statue e uomini come materia organica
indistinta di un "Uno" che tutto tiene insieme. Come se ogni atomo del
Cosmo dovesse avere dignità riconosciuta, come se ogni cosa
avesse diritto di appartenere ad una sorta di fratellanza universale
fortemente desiderata.