Il 7 gennaio 2007 si era chiusa in corso Marcelli la personale, "See
me", di Vincenzo Ucciferri. Il 16 marzo dello stesso anno, l'artista
moriva. Nel terzo anniversario della sua morte, ci ritroviamo a
ripensare a quanto avevamo sentito e provato nel descrivere
l'orizzontalità luminosa delle sue ultime opere. Scrivemmo,
allora, che era sorprendente la decisione dell'artista di andare oltre
tutto ciò che era stato il passato e il desiderio di
involarsi con tensione tutta nuova - sarà questa la
maturità? - verso il mondo e verso gli altri.
In
effetti, prima di "See me", Ucciferri aveva mostrato ironia e
profondità, necessità di cogliere tutto
ciò che di denso c'è nella classicità
e, persino, impegno civile, denuncia, oltre che attenzione
all'umanità più derelitta.
"See
me", invece, fu il ribaltamento di ogni posizione conquistata
precedentemente. Come se il pittore avesse voluto rimettersi in
discussione, dopo aver lavorato tanto su stesso, dopo aver capito se
stesso. Così, tutto ciò che poteva essere
conseguenza di un retaggio di forte sofferenza veniva accettato, veniva
definitivamente riconosciuto come materia del proprio essere. Da
lì si partiva, finalmente, per aprirsi agli altri in una
richiesta di attenzione che presupponeva la disponibilità a
restituire attenzione.
Tornare
nello studio di Cenzino, tre anni dopo la sua morte, significa
ritrovare l'emozione profonda del suo essere un umano scomodo e
tenerissimo, scorbutico ma vero, duro ma leale. Osservare gli oggetti
del suo lavoro significa trovare le metafore della sua anima: la
bandiera comunista e le conchiglie raccolte dalla sua compagna sulla
riva del mare, "La pianta del tè" di Fossati e le palline da
golf regalate da un amico, ninnoli dei suoi piccoli da spiaccicare
sulla prossima tela e guanti di cotone che i medici prescrivevano ma
che lui non usava perché "Io mi devo sporcare!".
Il
ripensare a ciò che avevamo sentito nei suoi ultimi quadri,
quelli di "See me" - quadri che, va detto, Cenzino non ha firmato - ci
fa ipotizzare un presentimento dell'artista, un prevedere la morte
imminente. Ciò che non avevamo esplicitato del tutto - come
si fa per tutte le cose che fanno male - sembra essere oggi
chiarissimo, come la luce forte delle sue ultime tele. Ma questa
è dietrologia. A Cenzino non sarebbe piaciuta. Meglio
immaginare che "See me" fosse un semplice passaggio, una luce nuova di
maturità conquistata, un superamento del dolore
dell'infanzia ormai diluito nella bellezza della sua realizzazione
famigliare e nei colori della sua splendide opere. Meglio pensare
coì. Meglio pensare così.