Allieva di A. Reicha, Louise Farrenc è una delle
personalità più interessanti del romanticismo
francese. In un’epoca in cui l’accesso al
professionismo musicale era riservato alle cantanti d’opera,
relegando il resto delle musiciste ad una educazione dilettantesca e
non istituzionale, L. Farrenc riuscì ad affermarsi come
pianista, didatta, compositrice ed, infine, editrice, assieme al
marito, il flautista Jacques Farrenc.
Prima donna a ricevere un incarico di docenza
presso il Conservatorio di Parigi – incarico ricoperto dal
1842 al 1873 – fu apprezzata sia da H. Berlioz, che lodava le
sue qualità di orchestratrice, sia dallo stesso R. Schumann,
il quale, negli scritti critici, parla espressamente della sua
“Air russe varié” op.17 per pianoforte,
citandola per eleganza, sobrietà ed equilibrio formale.
Ed è proprio la qualità
del suo stile compositivo, temperato sulla lezione dei grandi
compositori del passato e provvisto di un solido bagaglio tecnico, ad
imporsi nell’ambito di un clima culturale dominato dalla
dilagante popolarità dell’opera, da una parte, e,
dall’altra, da una pratica strumentale caratterizzata dal
virtuosismo o dalla rappresentazione programmatica di significati
extra-musicali.
A queste tendenze Louise Farrenc contrappone la
scelta del linguaggio “assoluto” della sonata e
della sinfonia; al facile melodizzare sostituisce un’accurata
elaborazione delle linee sonore, secondo effetti di contrasto timbrico
o di interazione contrappuntistica, mentre anche
nell’assunzione dei generi in voga, quali le numerose
variazioni su temi operistici o gli studi per pianoforte, emerge la
libertà interpretativa dei modelli tradizionali assieme ad
una tradizionale progettualità formale.
Cronologicamente successiva alla produzione
pianistica – composta da 32 numeri, per la maggior parte
datati tra il 1830 ed il 1850 – è
l’elaborazione dell’opera sinfonica e cameristica.
In particolar modo quest’ultima si rivela in ambito estetico
congeniale alle qualità compositive della Farrenc che
può sfruttare l’esperienza precedentemente
accumulata in funzione di una migliore resa strumentale e di una
maggiore linearità discorsiva. Un primo importante
contributo – ancora più apprezzabile considerando
la scarsa propensione dei compositori francesi del tempo a cimentarsi
nella musica da camera – si realizza con le due sonate per
violino e pianoforte, i quintetti per pianoforte e archi e prosegue con
il celebre nonetto op.38 – la cui prima esecuzione fu
affidata, tra gli altri, al violinista Joachim – e con il
sestetto per pianoforte e fiati op.40.
Il raggiungimento della maturità
stilistica, tuttavia, si attua pienamente nei trii per violino v.cello
e pf op.33 e op. 34 e in quelli posteriori op. 44 e op. 45,
rispettivamente per clarinetto v.cello e pf. e flauto, v.cello e pf,
dove il rischio del manierismo armonico ancora presente nelle prime
composizioni viene completamente decantato a favore di un controllo
più saldo della direzionalità tonale e di una
più evidente complessità strutturale; il perfetto
equilibrio in cui le parti interagiscono presuppone il coinvolgimento
paritario degli interpreti.
Dall’altra parte tale bilanciamento
permane anche nel caso degli ultimi due trii che, benché
ideati pensando al clarinettista Adolphe Leroy ed al flautista Louis
Dorus, non accondiscendono alle intemperanze virtuosistiche dello stile
concertante mentre l' ineccepibile organizzazione formale trova
efficace corrispondenza nella autorevolezza delle citazioni, senza
tuttavia perdere autonomia di valore – dell’op.45
si notino, in particolare, le reminiscenze di Mendelssohn, specialmente
nel vorticoso terzo movimento, il gioco contrappuntistico del finale o
la robusta articolazione ritmica di matrice beethoveniana nella sezione
centrale del secondo movimento.
Musica
Donna - 8 marzo 2006