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JEANNE LOUISE FARRENC
(1804/1875)

Composer



Allieva di A. Reicha, Louise Farrenc è una delle personalità più interessanti del romanticismo francese. In un’epoca in cui l’accesso al professionismo musicale era riservato alle cantanti d’opera, relegando il resto delle musiciste ad una educazione dilettantesca e non istituzionale, L. Farrenc riuscì ad affermarsi come pianista, didatta, compositrice ed, infine, editrice, assieme al marito, il flautista Jacques Farrenc.

Prima donna a ricevere un incarico di docenza presso il Conservatorio di Parigi – incarico ricoperto dal 1842 al 1873 – fu apprezzata sia da H. Berlioz, che lodava le sue qualità di orchestratrice, sia dallo stesso R. Schumann, il quale, negli scritti critici, parla espressamente della sua “Air russe varié” op.17 per pianoforte, citandola per eleganza, sobrietà ed equilibrio formale.

Ed è proprio la qualità del suo stile compositivo, temperato sulla lezione dei grandi compositori del passato e provvisto di un solido bagaglio tecnico, ad imporsi nell’ambito di un clima culturale dominato dalla dilagante popolarità dell’opera, da una parte, e, dall’altra, da una pratica strumentale caratterizzata dal virtuosismo o dalla rappresentazione programmatica di significati extra-musicali.

A queste tendenze Louise Farrenc contrappone la scelta del linguaggio “assoluto” della sonata e della sinfonia; al facile melodizzare sostituisce un’accurata elaborazione delle linee sonore, secondo effetti di contrasto timbrico o di interazione contrappuntistica, mentre anche nell’assunzione dei generi in voga, quali le numerose variazioni su temi operistici o gli studi per pianoforte, emerge la libertà interpretativa dei modelli tradizionali assieme ad una tradizionale progettualità formale.

Cronologicamente successiva alla produzione pianistica – composta da 32 numeri, per la maggior parte datati tra il 1830 ed il 1850 – è l’elaborazione dell’opera sinfonica e cameristica. In particolar modo quest’ultima si rivela in ambito estetico congeniale alle qualità compositive della Farrenc che può sfruttare l’esperienza precedentemente accumulata in funzione di una migliore resa strumentale e di una maggiore linearità discorsiva. Un primo importante contributo – ancora più apprezzabile considerando la scarsa propensione dei compositori francesi del tempo a cimentarsi nella musica da camera – si realizza con le due sonate per violino e pianoforte, i quintetti per pianoforte e archi e prosegue con il celebre nonetto op.38 – la cui prima esecuzione fu affidata, tra gli altri, al violinista Joachim – e con il sestetto per pianoforte e fiati op.40.

Il raggiungimento della maturità stilistica, tuttavia, si attua pienamente nei trii per violino v.cello e pf op.33 e op. 34 e in quelli posteriori op. 44 e op. 45, rispettivamente per clarinetto v.cello e pf. e flauto, v.cello e pf, dove il rischio del manierismo armonico ancora presente nelle prime composizioni viene completamente decantato a favore di un controllo più saldo della direzionalità tonale e di una più evidente complessità strutturale; il perfetto equilibrio in cui le parti interagiscono presuppone il coinvolgimento paritario degli interpreti.

Dall’altra parte tale bilanciamento permane anche nel caso degli ultimi due trii che, benché ideati pensando al clarinettista Adolphe Leroy ed al flautista Louis Dorus, non accondiscendono alle intemperanze virtuosistiche dello stile concertante mentre l' ineccepibile organizzazione formale trova efficace corrispondenza nella autorevolezza delle citazioni, senza tuttavia perdere autonomia di valore – dell’op.45 si notino, in particolare, le reminiscenze di Mendelssohn, specialmente nel vorticoso terzo movimento, il gioco contrappuntistico del finale o la robusta articolazione ritmica di matrice beethoveniana nella sezione centrale del secondo movimento.

Musica Donna - 8 marzo 2006


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