Cari amici,
come può andare una settimana se la cominci chiudendoti fuori di casa? Sono le 7:15 di
mattina, sei in braghe del pigiama, canotta (sexy, per carità) e maglione oversize (fa
molto Marie Claire), capello imbizzarrito, riga del cuscino sulla guancia, vago ma non
troppo olezzo di letto, cesta della biancheria e detersivo al seguito. Come può andare
una settimana che inizia così?
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Sarò forse stata punita per aver cyborgato tutta la settimana
precedente. Io che vedo un senso in tutto. In effetti, i giorni scorsi sono stati tutti un
rollio sempre uguale di azioni ripetitive: mancanza di sonno, sveglia prima dell'alba,
lavoro. Hollywood chiama, e io rispondo. Mi sta arrivando moltissimo lavoro di traduzione
di sottotitoli, il che non solo mi diverte da pazzi, ma mi permetterà anche di vivere in
totale autonomia da orari altrui e relativa alienazione nel prossimo futuro, e non posso
dire di no. È che hanno un po' esagerato, e non ho fatto altro. A parte insegnare ai
ragazzi, il che è sempre uno spasso.
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Le uscite che mi sono concessa sono state in St. Mark's Place, che
ormai è diventato l'equivalente di Piazza San Marco qui a New York, la spesa (vi dico che
ho comprato?) e due serate con gli amici. La prima a un ristorante giapponese a Soho,
insieme a un amico carissimo a parlare del senso delle cose (meno male che ci abbiamo
bevuto su, o forse ne abbiamo parlato perché ci abbiamo bevuto su?), la seconda alla
Corte dei Miracoli. Sì, amici, sono tornata allo Speak Easy.Ricordate quel postaccio di
cui vi parlai l'anno scorso, quello che apre solo a un ristretto numero di persone,
sospetto, fumoso, mafioso? Quello. Manco dallo Speak Easy da circa otto mesi, ma nulla è
cambiato. Vito mi ha anche abbracciata.
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Allo Speak Easy si fuma ancora, si gioca a biliardo, ci si ritira
nell'ufficio di Vito (se sei femmina o un amico di gioventù), ci si veste vintage o
sporco, a seconda dell'occhio che guarda e del naso che fiuta. Io ero come al solito la
meno tipica, ma ormai ci ho fatto il callo e faccio parte del folklore.
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Nello specifico, questo sabato la mia attenzione è stata attirata
da una coppia lesbica che ha volteggiato sulla pista ai travolgenti ritmi sudamericani di
un dee-jay che ha evidentemente sbagliato mestiere. Una sorta di masturbazione musicale
del professionista in questione. Grado di noia: elevatissimo. Ma come dirglielo. Ha avuto
solo un attimo di lucidità piazzando sul piatto un "Rock the Casbah" d'annata,
ma poi si è disipnotizzato ed è tornato a spadellarci salsa e merengue.
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La coppia in questione constava di un elemento femminile a forma di
uovo, capello lungo, camicia bianca, gonna con lo spacco, stivale aggressivo, e di un
elemento semi-maschile anch'esso a forma di uovo, capello corto, maglietta rossa, mani sui
fianchi (della sua compagna, quando non si produceva in smancerie più spinte), allure da
camionista. Le due innamorate hanno ballato agitando due sederi di una certa importanza e
ignorando il vuoto intorno a loro (grazie al dee-jay) per una buona mezz'ora, con me che
le guardavo estasiata, e poi una di qua e l'altra di là. È successo qualcosa che mi è
sfuggito? Hanno consumato mentre bevevo un sorso di birra? Si sono usate e gettate così
velocemente che l'occhio umano non ha registrato l'azione? D'altronde siamo a New York.
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Dopo tre ore di osservazione della Corte dei Miracoli, me ne vado,
torno a casa a provare a mettere insieme qualche ora di sonno (non ci riuscirò). Però,
amici cari, il tragitto verso casa me lo godo tutto. È la parte di New York che si chiama
Alphabet City, all'estremità orientale dell'East Village, che ho tagliato verso ovest. È
pieno di gente, sono le due e la notte è giovane, inizia a nevicare un pochino, giusto
una spruzzata, che la mattina seguente mi permetterà una passeggiata solitaria in un
Washington Square Park innevato e deserto.
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Stamattina l'alba era di nuovo spettacolare (ma me le merito, io,
tutte queste albe?), una mia amica mi ospita per il mese di marzo, ho una moca per farmi
il caffè e il frigo pieno. E chi mi ammazza a me?
Vostra come sempre,
Sugar T.
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PS
Per fortuna i custodi hanno una copia di tutte le chiavi del condominio.
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