Cari amici,
bando ai fraintesi. Con D&G non intendo la marca di vestiti (perché, levata la
polvere di stelle, è di quello che si tratta, no?), ma questo: Diesel and the Gates. Un
po più oscuro, forse.
Andiamo quindi per stadi.
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Tanto per cominciare Georges Perec aveva ragione. La chimera di un
edificio costruito di fronte ai tuoi occhi contenente vite di cui essere spettatore è una
delle fantasie credo più gettonate di ogni sano scrittore.
Ma forse bisogna fare un ulteriore passettino indietro.
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Ho iniziato a guardare Sex and the City. Dopo una riluttanza anche
solo a sfiorarne un episodio e, una volta sfiorato, conseguente rifiuto della sua
artificiosità, volgarità, superficialità e cattivo gusto, mi ci sono appassionata.
Smessi i vecchi Friends che, tutto sommato, sono ancora meno credibili di
Carrie Bradshaw e della sua rubrichetta con cui apparentemente si paga laffitto a
Manhattan (yeah, RIGHT!), mi sono data a questa serie che, dico a mia discolpa, in inglese
è tutta unaltra cosa (qualcosa la devo pur dire). Insomma, la protagonista, Carrie,
in una puntata dice che a New York non si è mai davvero soli. Ora, in quella stessa
puntata viene praticamente denudata in pubblico, respinta dagli orari del Guggenheim,
ignorata dai taxi e presa per pazza nel giro di un quarto dora - questo sì che è
verosimile - MA è anche vero che, in giornate meno efferate, New York sa esserti
compagna. Lo è per me quando esco a camminarmela tutta sola, quando mi infilo in libreria
e ci sono centinaia di persone come me, ed è vero: è una solitudine un po
diversa
comunitaria, consueta, comunicativa.
È accettabile, se non fa male. Finché è una scelta, insomma. E questa città ha
talmente tanto da offrire che, se tutto sommato si sta bene dentro, dove succedono le
cose, soli non si è mai.
Torniamo quindi al signor Perec e al suo colpo di genio. Il condominio di fianco al mio.
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Sapete quasi tutti che sono ospite da un amico fino al suo ritorno
a New York, ma chissà se sapete che questamico abita in un grattacielo nel Village,
allangolo con Broadway. Ecco, a est la vista dà sullEast Village, lEast
River, Brooklyn e il cielo, mentre voltandosi verso sud, non solo si indovina la baia, ma
si cozza contro un edificio alto come questo che dista poche decine di metri dalla
finestra che ho di fronte. Una seccatura per chi soffre di claustrofobia, una goduria
illimitata per quelli come me. Ogni mattina al risveglio, ogni sera prima di andare a
dormire, ci si intravede, io e loro, da una finestra allaltra: la bimba bionda che
ieri aveva una corona di fiori al collo, luomo nudo che lavora in casa, la ballerina
che dorme con le tapparelle alzate, la coppia un po annoiata, quella con la casa
sempre piena di amici, i ragazzi che dividono laffitto e fumano sul balcone, la
famiglia che ha una palma gonfiabile e le decorazioni natalizie sul balcone.
Come si fa a sentirsi soli? Se uno ha un attimo di tempo, si affaccia, magari a luci
spente così loro non si imbarazzano, e guarda. Se non hai la smania di riempirti la testa
di voci, se permetti al silenzio, alla quiete, al vuoto di abitarti un po, possono
passare le ore. A immaginare.
È anche così che nascono i libri, no?
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D sta per Diesel, abbiamo detto. Beh, amici cari, la vostra Sugar
Teacha giovedì scorso è stata invitata con tanto di cartoncino VIP al party post-show di
Diesel. Come dire le pieghe dellombelico del mondo. Non solo lombelico quindi,
ma il suo centro. Dove ognuno di noi, in fondo, dai, confessatelo, vorrebbe essere una
volta sola nella vita per poter dire di averlo visto. Quel genere di posto di cui vedi le
foto sui rotocalchi.
Questo, poi, un teatro immenso, con tanto di palco e galleria stracolmi di gente:
fotomodelle (una delle più belle, a un passo da me. A momenti svengo), gente di ogni
razza, colore, ambiente, musica orribile, bevande gratis (la classe È italiana), TV,
giornalisti, flash. E io. Con la mia maglietta asimmetrica comprata a Chinatown pochi
giorni prima (uscendo dal negozio ridacchiando mi sono chiesta: E quando mai me la
metterò, questa?
Et voilà), i jeans, gli stivali da folletto e gli occhi più grandi del creato per
riuscire a vedere tutto. Ho visto molto, anche un volto piuttosto conosciuto che ho
guardato per bene cercando di capire chi diavolo fosse ma poi niente, ho riconosciuto la
modella accanto a quel volto, ma quel volto no, proprio non mi veniva, eppure lo
conoscevo, accidenti
Insomma, si è ballato, si è chiacchierato, si è fatto tardi,
e poi, verso le due, si è usciti nella gelida notte di New York e si è rientrati a casa,
come sempre.
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Polvere di stelle.
Sono giunta a due conclusioni, dopo questesperienza: la prima è gli alieni
esistono e fanno tutti le top model, la seconda è adoro il mio
mestiere.
Come ci sono arrivata, chissà. La poesia ti piglia nei momenti più impensati.
Vostra,
Sugar T.
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PS
Un paio di note in calce bisogna farle:
1. I mesi trascorsi nel mio quartieraccio di Brooklyn, lanno scorso, devono avermi
spalmato addosso una sorta di aura da sista, perché ho attirato le attenzioni (e il
baciamano) di un energumeno nero che mi ha più o meno baccagliata tutta la sera. Ma ormai
lo so che noi ci riconosciamo anche dallodore (mi preoccupo?).
2. Ieri mattina mi è finalmente venuto in mente chi era quel volto noto. Era il signor
Diesel.
Quanto alla magia dei Gates, signore e signori
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