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Chiara Marchelli - Yo-bro diaries number 16

D&G e il conforto di Perec

Cari amici,

bando ai fraintesi. Con D&G non intendo la marca di vestiti (perché, levata la polvere di stelle, è di quello che si tratta, no?), ma questo: Diesel and the Gates. Un po’ più oscuro, forse.
Andiamo quindi per stadi.

 

Tanto per cominciare Georges Perec aveva ragione. La chimera di un edificio costruito di fronte ai tuoi occhi contenente vite di cui essere spettatore è una delle fantasie credo più gettonate di ogni sano scrittore.
…Ma forse bisogna fare un ulteriore passettino indietro.

Ho iniziato a guardare Sex and the City. Dopo una riluttanza anche solo a sfiorarne un episodio e, una volta sfiorato, conseguente rifiuto della sua artificiosità, volgarità, superficialità e cattivo gusto, mi ci sono appassionata. Smessi i vecchi “Friends” che, tutto sommato, sono ancora meno credibili di Carrie Bradshaw e della sua rubrichetta con cui apparentemente si paga l’affitto a Manhattan (yeah, RIGHT!), mi sono data a questa serie che, dico a mia discolpa, in inglese è tutta un’altra cosa (qualcosa la devo pur dire). Insomma, la protagonista, Carrie, in una puntata dice che a New York non si è mai davvero soli. Ora, in quella stessa puntata viene praticamente denudata in pubblico, respinta dagli orari del Guggenheim, ignorata dai taxi e presa per pazza nel giro di un quarto d’ora - questo sì che è verosimile - MA è anche vero che, in giornate meno efferate, New York sa esserti compagna. Lo è per me quando esco a camminarmela tutta sola, quando mi infilo in libreria e ci sono centinaia di persone come me, ed è vero: è una solitudine un po’ diversa… comunitaria, consueta, comunicativa.
È accettabile, se non fa male. Finché è una scelta, insomma. E questa città ha talmente tanto da offrire che, se tutto sommato si sta bene dentro, dove succedono le cose, soli non si è mai.
Torniamo quindi al signor Perec e al suo colpo di genio. Il condominio di fianco al mio.

Sapete quasi tutti che sono ospite da un amico fino al suo ritorno a New York, ma chissà se sapete che quest’amico abita in un grattacielo nel Village, all’angolo con Broadway. Ecco, a est la vista dà sull’East Village, l’East River, Brooklyn e il cielo, mentre voltandosi verso sud, non solo si indovina la baia, ma si cozza contro un edificio alto come questo che dista poche decine di metri dalla finestra che ho di fronte. Una seccatura per chi soffre di claustrofobia, una goduria illimitata per quelli come me. Ogni mattina al risveglio, ogni sera prima di andare a dormire, ci si intravede, io e loro, da una finestra all’altra: la bimba bionda che ieri aveva una corona di fiori al collo, l’uomo nudo che lavora in casa, la ballerina che dorme con le tapparelle alzate, la coppia un po’ annoiata, quella con la casa sempre piena di amici, i ragazzi che dividono l’affitto e fumano sul balcone, la famiglia che ha una palma gonfiabile e le decorazioni natalizie sul balcone.
Come si fa a sentirsi soli? Se uno ha un attimo di tempo, si affaccia, magari a luci spente così loro non si imbarazzano, e guarda. Se non hai la smania di riempirti la testa di voci, se permetti al silenzio, alla quiete, al vuoto di abitarti un po’, possono passare le ore. A immaginare.
È anche così che nascono i libri, no?

D sta per Diesel, abbiamo detto. Beh, amici cari, la vostra Sugar Teacha giovedì scorso è stata invitata con tanto di cartoncino VIP al party post-show di Diesel. Come dire le pieghe dell’ombelico del mondo. Non solo l’ombelico quindi, ma il suo centro. Dove ognuno di noi, in fondo, dai, confessatelo, vorrebbe essere una volta sola nella vita per poter dire di averlo visto. Quel genere di posto di cui vedi le foto sui rotocalchi.
Questo, poi, un teatro immenso, con tanto di palco e galleria stracolmi di gente: fotomodelle (una delle più belle, a un passo da me. A momenti svengo), gente di ogni razza, colore, ambiente, musica orribile, bevande gratis (la classe È italiana), TV, giornalisti, flash. E io. Con la mia maglietta asimmetrica comprata a Chinatown pochi giorni prima (uscendo dal negozio ridacchiando mi sono chiesta: “E quando mai me la metterò, questa?”
Et voilà), i jeans, gli stivali da folletto e gli occhi più grandi del creato per riuscire a vedere tutto. Ho visto molto, anche un volto piuttosto conosciuto che ho guardato per bene cercando di capire chi diavolo fosse ma poi niente, ho riconosciuto la modella accanto a quel volto, ma quel volto no, proprio non mi veniva, eppure lo conoscevo, accidenti… Insomma, si è ballato, si è chiacchierato, si è fatto tardi, e poi, verso le due, si è usciti nella gelida notte di New York e si è rientrati a casa, come sempre.

Polvere di stelle.

Sono giunta a due conclusioni, dopo quest’esperienza: la prima è “gli alieni esistono e fanno tutti le top model”, la seconda è “adoro il mio mestiere”.
Come ci sono arrivata, chissà. La poesia ti piglia nei momenti più impensati.

Vostra,

Sugar T.


PS
Un paio di note in calce bisogna farle:
1. I mesi trascorsi nel mio quartieraccio di Brooklyn, l’anno scorso, devono avermi spalmato addosso una sorta di aura da sista, perché ho attirato le attenzioni (e il baciamano) di un energumeno nero che mi ha più o meno baccagliata tutta la sera. Ma ormai lo so che “noi” ci riconosciamo anche dall’odore (mi preoccupo?).

2. Ieri mattina mi è finalmente venuto in mente chi era quel volto noto. Era il signor Diesel.


…Quanto alla magia dei Gates, signore e signori…