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Turzo e il cadere
delle foglie
Intervento per la Libreria della Corte
16 novembre 2012
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Quando cadono le foglie, a novembre, io penso all'autunno della mia
vita che è iniziato quando sono nato perché uno
che nasce in Molise è come se tenesse gli anni mancanti di
undici mesi: è sempre novembre.
Quando ero piccolo e mi dicevano: “Mo arriva la
primavera!”, io mi giravo, mi guardavo intorno, ma la
primavera non la vedevo mai.
Quano la maestra mi faceva fare
il tema sulla primavera, io pigliavo sempre un brutto voto e spesso la
maestra mandava a chiamare mia madre per dirle che avevo copiato il
compito da quello dell'autunno. Ma non era vero! Io non avevo copiato!
Era solo che avevo guardato dalla finestra e avevo visto, a marzo, le
stesse cose che vedevo a novembre.
Mia madre mi riportava a casa
senza parlare, facendo finta di avercela con me fino a quando passavamo
davanti alla bidella che faceva la maglia vicino al portone d'ingresso.
Non appena fuori dall'edificio scolastico, mi diceva: “Non ti
preoccupare. Hai fatto bene! È sempre meglio dire la
verità. Pure io non la vedo questa differenza.
Però la prossima volta fatti furbo: pensa almeno che
all'autunno cadono le foglie e alla primavera no”.
Io mi sentivo sollevato
perché capivo che mamma mi voleva bene e da allora ho sempre
collegato il cadere delle foglie al fatto che mia madre mi voleva bene
anche se cadevano le foglie.
E questa cosa mi è sempre servita, in ogni momento di
tristezza.
Quando stavo all'Argentina, per
esempio, vincevo la nostalgia pensando che mamma mi voleva bene e che
mi voleva bene anche se cadono le foglie.
Quando sono stato in ospedale e
pensavo che sarei crepato, ho vinto la paura della morte pensando che
mamma mi voleva bene e che mi voleva bene anche se le foglie cadono.
Quando, qualche volta, per
accocchiare due fogli di lamiera della baracca di zinco, mi sono menato
una martellata sulla mano, ho vinto il dolore pensando che mia madre mi
voleva bene e che mi voleva bene anche se le foglie cadono.
Tutto ho vinto pensando
all'amore di mia madre: la paura, il dolore, la nostalgia. Solo due
cose non ho mai vinto pensando a mia madre: la lotteria e le elezioni
regionali. Tutto il resto però sì. Persino la
tristezza di vedere, dalla finestra della baracca di zinco dove vivo,
il ritorno di Ruzzone dai campi, con il trerruote sgronzato, e lo
squallore degli alberi che si spogliano alle sue spalle e la schifezza
delle foglie cadute che si bagnano e fanno una melma dello stesso
marrone che il sindaco ha usato per pittare il cancello del cimitero
del paese.
Qualcuno avrà
pensato che siccome Turzo è poeta sicuramente doveva fare la
metafora che le foglie cadono e i consiglieri regionali rimangono
appesi anche dopo le sentenze dei tribunali.
Ma io non la faccio perché quelli hanno detto che devono
rimanere perché non possono lasciare il posto vuoto fino a
quando arrivano quelli che saranno eletti.
E questa cosa non mi piace
perché è innaturale: avete mai sentito una foglia
che dice “Mo rimango attaccata al ramo fino a quando arrivano
le foglie di primavera”?
Io non l'ho mai sentita. E non
si può sentire perché le cose o sono naturali o
non esistono. E infatti la Regione, come alla Provincia, fra poco non
esisterà più.
Lo so che sembro troppo
pessimista ma nel libro troverete cose più allegre: a pagina
100, per esempio, troverete uno starnuto che si intitola
“Quale futuro?”
Gli starnuti erano delle frasi
che il tempo mi chiedeva di scrivere ogni giorno con un numero preciso
di caratteri, circa 400, partendo da una notizia vera.
Il 31 gennaio 2010 scrivevo
così: “Quale futuro? - A Larino hanno fatto il
convegno Giovani, quale futuro? Pure noi della cantina Iammacone, anni
fa, facemmo un convegno Anziani, quale futuro? E Ruzzone fece una
relazione dal titolo La morte”
Tanti saluti
Rossano