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LA TRISTEZZA È UNA COSA SERIA PER IL BENE COMUNE DI APRILE 2017 Isernia è la città più triste d’Italia. E Campobasso viene subito dopo. Lo ha detto il Corriere della Sera. Ruzzone ha pensato che eravamo tristi per tutti i pedofili che girano liberamente o per le barracche di zinco dento alle campagne. Per come facciamo il vino. Che ancora lo conserviamo dentro alla cantina vicino alla vernice e al veleno per le zoccole. Toni Negri – che lo chiamiamo così ma il nome vero è Antonio Scurdia – ha subito pensato che eravamo tristi per i politici che teniamo. Che secondo lui la politica è una cosa seria e quando comincia questi discorsi alla Cantina Iammacone ci abbottiamo di risate o ci abbottiamo le palle e lo mandiamo a quel paese. Mario Serpa pensava che eravamo tristi perché i dipendenti dell’Ittierre e dello Zuccherificio non sanno dove sbattere la capa e per Isernia e Campobasso girano macchinoni che nemmeno al principato di Monaco ce ne stanno tanti in proporzione e si parcheggiano dove cazzo vogliono loro. E i dipendenti li vedono e dicono: Puzzat’ itta’ l’ sangh’. La moglie di Iammacone pensava che eravamo tristi per la filippina che entra dentro alla casa dalla crepa che tiene impaccia al muro dal terremoto di San Giuliano. Menicuccio Sterzo, che fa l’autista, pensava che eravamo tristi per la uallera che ti sobbalza quando pigli la Trignina e la Bifernina e la macchina si chianta dentro alle buche dell’asfalto. Don Giggino, il prete, pensava che eravamo tristi perché non teniamo la fede. Ma Ruzzone gli ha subito detto che lui la fede non se l’è mai levata dal giorno del matrimonio. E il prete ha risposto… propria p’ kess’. Sandruccio Pellasemp’ pensava che eravamo tristi perché hanno cambiato l’etichetta alla Peroni e da allora non tiene più lo stesso sapore. Giacomino Crepacuore pensava che era per le ambulanze che arrivano sempre più tardi e lui che tiene un mezzo infarto alla settimana prima o poi accocchia le cosse. La moglie di Franco Guerra ha detto che secondo lei siamo tristi per la preoccupazione che tengono le mamme quando mandano i figli alla scuola, che gli edifici tritticheiano come alle mani di Nicola Azzaimer quando piglia il bicchiere della birra. Poi, uno diceva che eravamo tristi per come è finita l’Università. Un altro diceva che era per i cantonieri che da quando non faticano più crescono le ierve per la via e quello spettacolo ti fa pena. Un altro ancora per la riunione che ha fatto Iorio a Campobasso e la sala era chiena chiena. E che se la faceva Frattura era la stessa cosa. Insomma, ognuno teneva la sua versione ma tutti stavano allegri perché, quando si parla, la tristezza si fa un poco più sopportabile. È quando stai solo come un cane che stare nel Molise ti fa sentire come al figlio di Checco Zalone che lo portano in vacanza sulla diga del Liscione. Che, come ha detto Sergio Rapa, che è appassionato di Mogol e perciò lo chiamiamo Rapetta, “quando cade la tristezza in fondo al cuore come alla neve non fa rumore”… e tutti abbiamo pensato a Campitello e Capracotta… e ci sembrava già di aver capito cosa fosse la tristezza. Invece, poi, è arrivato il sindaco e ci ha rasserenati. Ha detto che tutto dipende da Tuitt che è una cosa americana che significa una cosa come a Cip e che insomma la tristezza di Isernia e Campobasso dipende da come cantano i cigliucci. E, allora, ognuno di noi è andato alla casa, ha preso la gabbia… chi con dentro una quaglia, chi un fagiano, chi nu pappavall’ che si era riportato dall’emigrazione che quelli campano assai, chi un tacchino, chi un pettirosso che manco i discendenti di Giovanni Pascoli lo tengono ancora, chi nu stramurt’ di merlo indiano che dice solo cose zozze… e tutti siamo tornati alla Cantina. E da quel momento pure dentro alla Cantina Iammacone è tornata l’allegria. L’allegria mo… stavamo un poco meglio. Ci siamo fatti una mezza Peroni a testa, abbiamo fatto un rutto liberatorio… e già la tristezza sembrava dimenticata. Il sindaco ha detto: “Bravi… voi trovate sempre la soluzione! Non ci dobbiamo abbattere!” E noi gli abbiamo abbattuto le mani. |
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